Pronuncia in tema di violazione del consenso informato

consenso informato

Le basi del principio di diritto secondo cui ogni intervento medico svolto in assenza di consenso è illecito, si rinviene nell’enunciato di cui all’art. 50 c.p. secondo il quale “Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne”, in combinato disposto con l’art. 32 Cost. secondo cui “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

Nell’ambito sanitario il consenso informato, quindi, è volto a garantire un’informazione deontologicamente, eticamente e giuridicamente corretta dell’atto medico proposto, affinchè alla persona assistita sia assicurata la facoltà di esprimere liberamente e consapevolmente la propria scelta in merito alle opzioni diagnostiche terapeutiche proposte.

Il consenso dovrà essere personale, esplicito, specifico, libero attuale, informato e consapevole e conforme allo stato dell’arte, ovverosia al livello cui sono giunte le conoscenze in quel determinato ambito scientifico.

Il consenso deve essere espresso dal soggetto che ha la disponibilità del bene giuridico e “ante factum” ovverosia deve sussistere nel momento in cui viene posto in essere il trattamento medico, se prestato dopo che l’intervento sia stato compiuto non potrà essere qualificato come causa di giustificazione.

La vicenda trae origine dal ricorso presentato da una struttura sanitaria che veniva condannata dal Giudice della Corte d’Appello per violazione del consenso informato di un paziente.

Il paziente conveniva in giudizio la struttura, chiedendo la condanna al risarcimento dei danni per le lesioni dal medesimo subite a seguito di un intervento chirurgico di rimozione di un aneurisma all’aorta addominale a cui seguiva una fibrosi massiva aderenziale con occlusione dell’intestino. A sua volta tale evento determinava la necessità della rimozione di una parte di intestino e delle lesioni permanenti a carico del paziente.

Il Tribunale accoglieva la domanda condannando la struttura al pagamento di €.700.000,00 sulla base del fatto che, ad opinione del giudice, le complicanze successive all’intervento di rimozione dell’aneurisma derivavano dalla scelta del medico di eseguire l’intervento secondo una tecnica ormai obsoleta e si sarebbero state evitate se l’intervento fosse stato eseguito con una diversa tecnica.

La struttura sanitaria aveva proposto appello, che veniva rigettato, sulla base della condotta colposa del medico che aveva scelto una diversa tecnica senza informare il paziente che vi era la possibilità di eseguire l’intervento secondo un’altra tecnica (la condotta colposa, quindi, non sarebbe tanto la tecnica differente bensì la mancata informazione dell’esistenza di una seconda tecnica).

Per quanto riguardava l’esecuzione dell’intervento, invece, non vi erano addebiti nei confronti del medico in quanto l’intervento era stato eseguito correttamente e le conseguenze dannose sarebbero derivate da cause naturali e, comunque, imprevedibili.

La Corte di Cassazione si è espressa sul punto molto chiaramente: i giudici di prime cure non hanno provveduto all’accertamento dell’esistenza del nesso causale tra l’omessa informazione del medico e le complicanze operatorie subite dal paziente.

Proprio per questo motivo, quindi, ritenendo fondato il motivo di ricorso proposto dalla struttura sanitaria, rinviava nuovamente la causa alla Corte d’Appello proprio per effettuare l’accertamento del nesso di causalità come sopra descritto.

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