Tutti siamo un brand

tutti siamo un brand

Brand deriva da brandr, che vuol dire bruciare (dal norreno), in riferimento al bestiame che veniva marchiato, per indicarne il possesso. Questo serviva per identificarne la qualità e per differenziarlo dalla concorrenza.

Nel 18° secolo subentrarono le prime leggi per proteggere i prodotti, ma solo con la Rivoluzione Industriale del 19° secolo e con l’avvento della produzione di massa, il Branding prese l’acce-zione moderna. Il Branding, diviene così, una necessità di marketing. La marca sintetizza nella mente del consumatore, quel che si vuole comunicare, grazie all’associazione delle idee.

La prima grande marca? Procter and Gamble, fondata nel 1837 da un candeliere inglese ed un saponiere irlandese. William Procter e James Gamble fondarono la società che ad oggi è una multinazionale che produce 300 marchi e 27000 brevetti registrati.

Dal punto di vista legale infatti, il Brand è definito come il marchio registrato, che dal punto di vista economico è considerato risorsa.

Negli anni 2000 si inizia a capire che l’essenza del Brand, va al di là del prodotto e del produt-tore, tenendo conto del consumatore e del suo sistema di valori (si parla di Brand come enti-tà).

Il Brand diviene secondo De Martini (2008), una promessa di valore, ovvero la somma dei pensieri, delle emozioni, delle sensazioni, delle percezioni, che le persone hanno di un prodotto o di un servizio. Ad incidere nella percezione del valore sono dunque elementi psicologici.

Aneddoto di Arcuri e Castelli (1996): la proprietaria di negozio di bigiotteria, voleva vendere gli oggetti invenduti, dimezzandone i prezzi. La commessa per sbaglio, raddoppiò. Conseguenza? Secondo la logica del ciò che è costoso è relativamente più buono, riuscirono a vende-re oggetti inappetibili. Se si crede che, il prezzo sia il risultato di uno sconto operato su una quotazione superiore.

Questo elemento viene identificato come PREZIOSITA’ ed un altro elemento che determina il valore è la SCARSITA’, ovvero se la produzione è limitata e si sta per esaurire aumenterà il desiderio, ovvero la logica è che limitandone l’accessibilità, il bene diviene desiderabile.

Un altro aspetto fondamentale è che il territorio del Brand è nella testa di chi lo usa e la soddi-sfazione del cliente contribuisce all’immagine positiva. Questo innescherà anche il procedimento che si chiama word of mounth (passaparola).

Tutto ciò per dire che, anche a parità di qualità (perché ci sono milioni di prodotti simili), la motivazione per la quale siamo disposti a spendere di più, o scegliere un prodotto anziché un altro, è che, tale prodotto per noi ha assunto un’importanza che va al di là del proprio valore intrinseco o della sua utilità.

Questo discorso è riferibile non solo al prodotto, ma anche alle persone.

Il miglior esempio di Brand su persona è la regina Elisabetta 2 d’Inghilterra, ogni giorno la sua immagine genera 10 miliardi di sterline di fatturato in merchandising. In linea generale, come afferma il guru del menagement: ‘tutti siamo un Brand e se non ci pensiamo noi a creare la nostra identità, ci penseranno gli altri’ (Tom Peters – a Brand Called You – 1997).

Il Personal Branding è ciò che permette alle persone di differenziarsi e la prima impressione conta tantissimo, dunque è necessario costruire un’immagine digitale giusta e congrua con quel che vogliamo mostrare di noi stessi.

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