Revocatorie ex art. 165 CCII

Gli effetti della liquidazione giudiziale sugli atti pregiudizievoli ai creditori

Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza disciplina gli effetti della Liquidazione giudiziale (ex fallimento) sugli atti pregiudizievoli ai creditori – così come previsto nella Legge Fallimentare – riportando alcune modifiche.

Il fondamento, che sta alla base delle norme (art.163-171 CCII) che disciplinano gli atti pregiudizievoli, è che l’attivo che può essere posto a soddisfazione dei creditori non dev’essere unicamente quello che si trova nel patrimonio del debitore al momento della procedura di liquidazione giudiziale bensì, deve ricomprendere anche i beni e i diritti fuoriusciti dal patrimonio anteriormente.

Proprio al fine di soddisfare, nella migliore modalità possibile i creditori, sia la Legge Fallimentare che il nuovo Codice hanno dettato numerose regole volte a ricostruire l’attivo concorsuale e reintegrare il patrimonio del debitore entro il c.d. periodo sospetto.

Cosa dispone l’art.165 CCII?

L’art.165 CCII che disciplina l’azione revocatoria ordinaria, statuisce che “il Curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile. L’azione si propone dinanzi al tribunale competente ai sensi dell’art.27 sia in confronto del contraente immediato, sia in confronto dei suoi aventi causa nei casi in cui sia proponibile contro costoro”.

In sostanza, da quanto riportato, l’art.165 CCII non introduce alcuna novità rispetto a quanto previsto dall’art.66 L.F. che, in pratica, consente al Curatore fallimentare di promuovere azione revocatoria davanti al tribunale concorsuale, al fine di ottenere la dichiarazione di inefficacia degli atti compiuti dal debitore, nell’ipotesi in cui ricorrano i requisiti di cui al codice civile ex art.2901 c.c.

Quali sono i presupposti per azionare la revocatoria fallimentare?

Occorre dapprima riportare l’art.67 L.F. che prevede quali sono gli atti soggetti a revoca – se compiuti nell’anno o nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento:

1)  gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso (ad es. un immobile venduto ad un prezzo sensibilmente inferiore al valore di mercato, in quanto la vendita potrebbe essere avvenuta o per consentire al debitore di racimolare la liquidità necessaria a tacitare i creditori più insistenti, oppure per disfarsi di un bene vendendolo ad un compratore compiacente);

 2)  gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (è il caso della c.d. datio in solutum, in cui il debitore, non avendo liquidità sufficiente per saldare i debiti, paga i creditori cedendo loro merci, beni strumentali o quant’altro);

 3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti (l’anomalia qui sta nel fatto che vengano concesse – o meglio pretese dal creditore – garanzie su debiti non scaduti, ad indicare il fatto che, probabilmente, il creditore ha subodorato il rischio di una prossima insolvenza del debitore); 

4)  i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro i sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti (anche qui, l’anomalia è data dalla concessione di una garanzia che, sebbene a differenza del caso precedente riguarda debiti già scaduti, diviene sospetta in quanto interviene a ridosso della dichiarazione di fallimento).

Ora, con l’art.166 CCII vengono riportati i medesimi atti ma il c.d. periodo sospetto è stato allungato in quanto, non decorre dall’apertura della procedura ma dal momento antecedente alla domanda che ha poi condotto alla procedura.

Da quando decorre il periodo sospetto entro il quale domandare l’azione revocatoria?

Il Codice della Crisi d’Impresa statuisce che sono considerati inefficaci o revocabili gli atti compiuti “dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della Liquidazione giudiziale” oppure nei due anni, nell’anno o nei sei mesi anteriori.

La locuzione utilizzata dal Codice della crisi è dovuta ad una scelta del legislatore di introdurre un unico modello processuale di accertamento della crisi e dello stato di insolvenza, in cui, la Liquidazione giudiziale è subordinata alla definizione di eventuali domande di accesso a procedure di regolazione concordata della crisi o dell’insolvenza alternative. Più semplicemente, se il debitore ha formulato domanda di accesso al concordato il termine sospetto decorre dalla data di deposito di tale domanda. Pertanto, se il concordato non è andato a buon fine e in seguito si instaura la Liquidazione giudiziale, il termine verrà calcolato sempre dalla domanda di concordato.

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