Revoca del fallimento e prescrizione dei crediti oggetto di insinuazione

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Il reclamo contro la sentenza di fallimento ex art. 18 l.f., qualora venga accolto, genera una serie di effetti.

Nel proseguo della presente trattazione andremo ad analizzare quali sono alcuni di questi effetti.

Tra gli effetti della revoca del fallimento si hanno:

  • cessazione di tutte le incapacità che hanno colpito il fallito all’atto della dichiarazione di fallimento;
  • il fallito riacquista la capacità di poter stare in giudizio;
  • gli atti compiuti dal fallito dopo la sentenza di fallimento acquistano piena efficacia;
  • il fallito riacquista la piena amministrazione dei suoi beni;
  • cessano gli effetti delle eventuali azioni revocatorie esperite;
  • i creditori riacquistano la facoltà di agire esecutivamente contro il debitore.

A seguito della revoca del fallimento il pagamento dei debiti di massa liquidati a seguito della revoca della sentenza dichiarativa di fallimento è rimessa all’iniziativa dei creditori, e tale pagamento è a carico del fallito tornato in bonis o dello Stato nel caso in cui il curatore abbia fatto richiesta di ammissione al gratuito patrocinio. A tale conclusione è giunta parte della giurisprudenza, e qui vale citare la sentenza del Tribunale di Milano del 25.09.2008 “ … il giudice delegato dovrà provvedere alla liquidazione degli oneri gravanti sulla massa anche nel caso in cui il fallimento venga revocato…”.

Altra sentenza del Tribunale di Milano del 19.07.2012, inoltre, ha statuito che “in relazione alla revoca del fallimento, ove non sia emersa alcuna responsabilità né del creditore istante, né del fallito, l’onere relativo al pagamento del compenso del curatore grava sullo Stato.”

Quali sono, invece, le conseguenze della revoca ai sensi e per gli effetti dell’art. 2945 c.c. ovvero in merito agli effetti e alla durata dell’interruzione ai fini della prescrizione del credito insinuato al passivo della procedura fallimentare?

La sentenza della Corte di Cassazione – IV sez. civ. n. 5428 del 25.02.2019 ha stabilito che la revoca della dichiarazione di fallimento non può ricondursi ad una pronuncia di estinzione ovvero”… la revoca del fallimento – ancorché disposta per vizi processuali o per incompetenza del giudice – lascia salvi gli effetti prodotti dalle domande di ammissione al passivo sul decorso del termine di prescrizione dei relativi crediti… e che l’istanza di insinuazione al passivo ha portata interruttiva ai sensi dell’art. 2493 c.c.

Nella sentenza della Cassazione del 25.02.2019, la Corte ha stabilito, altresì, che la prescrizione dovrà decorrere dalla data di revoca del fallimento, e non dalla data di deposito della domanda di ammissione al passivo.

Già in precedenza, la giurisprudenza di legittimità si era espressa in senso analogo, infatti, secondo la sentenza della Cassazione sez. lavoro n. 195/1986, ai sensi dell’art. 94 legge fall., “…la domanda di ammissione al passivo produce gli stessi effetti della domanda giudiziale anche relativamente all’interruzione del decorso della prescrizione…”.

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