L’aborto. Il medico può rifiutare di eseguire l’ecografia?

L’obiezione di coscienza

L’obiezione di coscienza, che rientra nel novero della tutela dei diritti inviolabili, rappresenta una garanzia del diritto di autodeterminazione del singolo che garantisce, appunto, la possibilità di non osservare un dovere imposto dalla legge, sulla base della propria convinzione etica, morale o religiosa. 

Rappresenta quindi un istituto che, per sua natura, nasce come un fenomeno morale ma che, con il tempo e con l’evoluzione normativa, diviene un valore costituzionalmente protetto.

L’obiezione di coscienza trova tutela negli artt.1 e 18 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo che garantiscono la piena libertà di pensiero e di coscienza.

È evidente che, in concreto, si può sviluppare un contrasto tra il generale principio di rispetto dei doveri imposti dalla legge e la libertà individuale di derogare a tale obbligo per motivi derivanti da un valore personale, costituzionalmente riconosciuto: tale problematica diviene ancor più evidente e di difficile soluzione in ambito medico.

Il riferimento normativo che è opportuno richiamare è l’art.9 della Legge 194/1978 (in materia di obiezione di coscienza dei sanitari).

L’art.9 della Legge 194 garantisce al personale sanitario la possibilità di non prendere parte “agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione”. Dichiarazione questa deve essere comunicata al medico provinciale e al direttore sanitario “entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della abilitazione o dall’assunzione.

L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.

Viene poi specificato che gli enti ospedalieri, in ogni caso, sono tenuti ad assicurare tali procedure ed interventi e che l’obiezione di coscienza non potrà essere invocata quando l’intervento risulti indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.

Una questione già affrontata

La questione relativa alla concreta tutela del diritto della donna di optare per l’aborto è già stata oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali che, poi, sfociava in una pronuncia del Comitato Europeo dei Diritti Sociali che accerta la violazione dei diritti delle donne alla salute e all’accesso effettivo non discriminatorio a tale procedura.

Pronuncia questa che, tra le altre innovazioni, introduce una importantissima riqualificazione dell’aborto che, da quel momento, viene ricompreso tra le libertà fondamentali della donna, invece che in seno al suo diritto alla salute. 

La pronuncia del Comitato Europeo dei Diritti Sociali, concludendosi con un’ammonizione nei confronti dell’Italia, era definibile come un impulso per il nostro Paese a riconsiderare il diritto all’obiezione di coscienza, o per meglio precisare, a garantire l’effettività dell’accesso delle donne alle procedure abortive.

Una recente pronuncia di Cassazione: il medico che si rifiuta di fare l’ecografia commette rifiuto di atti d’ufficio

La Cassazione, con sent. n.18901/2021, ha ulteriormente limitato i confini dell’obiezione di coscienza precisando che tale diritto può essere esercitato dal sanitario solo per attività dirette all’interruzione della gravidanza, ma non – invece – in riferimento a quelle attività meramente strumentali all’accertamento dell’esito del procedimento e dello stato di salute della donna (come nel caso di ecografia volta ad accertare il buon esito della procedura abortiva).

La Corte, infatti, ha specificato che “la procedura d’interruzione volontaria della gravidanza non si considera conclusa con la ecografia funzionale alle dimissioni, ma solo con quella eseguita entro i 14-21 giorni successivi alle dimissioni.”; infatti “La legge esonera il medico obiettore dal partecipare alla procedura d’interruzione della gravidanza solo in relazione alle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza“.

Restano quindi escluse tutte quelle attività e procedure di assistenza, o comunque strumentali, ad accertare l’avvenuta o meno interruzione di gravidanza nonché ad accertare le condizioni di salute della donna. “Il medico può solo rifiutarsi di causare l’aborto, chirurgicamente o farmacologicamente, ma non anche di prestare assistenza.”

Il sanitario in questione veniva quindi condannato per il reato di rifiuto di atti d’ufficio ex art. 328, comma 1 del Codice Penale.

Avv. Giulia Invernizzi

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