La paura della disinformazione

fake news

Oggi l’espressione fake news viene usata in maniera impropria per indicare concetti anche molto diversi tra loro. 

Sono fake news gli errori di stampa, le bufale che circolano online, alcune teorie complottiste, ma anche la propaganda politica determinata dalla diffusione di notizie non verificate, contenuti diffusi in maniera imprecisa per leggerezza

o per fretta, o false informazioni messe in rete per generare profitti dai click. Sotto la definizione delle fake news ci sono da considerare non solo fatti falsi, ma anche correlazioni errate non basate su prove sufficienti.

Tutta questa confusione e questo proliferare di notizie dalla dubbia veridicità genera una sorta di inquinamento dell’informazione che spiegala mancanza di fiducia, degli ultimi anni, nel giornalismo e nella qualità

delle fonti. 

Nel settembre 2017, BBC World ha reso noti alcuni dati rilevati da un sondaggio condotto in 18 Paesi del mondo: il 79% dei partecipanti si è detto preoccupato dalla possibilità di incappare in false notizie. 

In sostanza dal sondaggio emerge che si tende a fidarsi più del parere di amici o familiari che non di esperti del New York Times. 

In questo clima viene quindi meno anche la credibilità degli organi di informazione che spesso vengono sostituiti da siti generalisti, blog e portali di settore.

A questo bisogna aggiungere la diffusa tendenza dei lettori di informarsi tramite social network piuttosto che dalle testate giornalistiche online. 

Questo determina due aspetti di non poco conto: il primo è che essendo i social aggregatori di notizie provenienti da fonti diverse, il lettore si focalizza più sulla storia in sé che sulla fonte. 

Il secondo

aspetto ancora più impattante è che il lettore è pilotato nella lettura delle notizie da ciò che i suoi contatti hanno letto e condiviso, o da ciò che gli algoritmi hanno deciso di selezionare.

Si tratta di una forma di condizionamento che svela la vulnerabilità del lettore che non interiorizza solo il contenuto della notizia, ma anche l’emozione di chi ha postato o twittato quella notizia. Legata al concetto di disinformazione è anche la tendenza, creata dai social media, di costituire delle comunità omogenee all’interno delle quali si polarizza il proprio punto di vista senza avere uno scambio con chi la pensa in maniera diversa.

Tra i vari social quello probabilmente più attendibile è LinkedIn. La sua funzione di “curriculum vitae” digitale permette ad altre persone (colleghi, collaboratori, clienti, etc.) di validare alcune informazioni che riguardano la formazione, le esperienze o le skill di una persona rendendole maggiormente veritiere e verificabili.

GRAZIE PER LA TUA RICHIESTA.

Contattaci tramite email, telefono
o compila il form così da capire come aiutarti al meglio.