I gruppi societari
Con la riforma del diritto societario D.Lgs. n.6/03, viene introdotta – per la prima volta nel nostro ordinamento – una disciplina volta a regolare alcuni degli aspetti più salienti del fenomeno dei gruppi di società.
Questo fenomeno, nato e diffusosi nella prassi, consiste nell’aggregazione di più società, formalmente autonome ed indipendenti, ma assoggettate ad una direzione unitaria; in altre parole le società sono sottoposte all’influenza dominante di un unico soggetto che, direttamente o indirettamente, le controlla e di fatto coordina e dirige la loro attività di impresa secondo un disegno unitario.
La nuova normativa racchiude, quindi, un corpo di norme applicabili in tutti i casi in cui ci si trovi davanti ad una struttura imprenditoriale di gruppo, a prescindere dalla forma giuridica degli enti che la costituiscono.
Per configurarsi la figura di gruppo societario è necessario che vi sia un’attività di direzione o coordinamento – che sia sistematica e continuativa – esercitata da una società nei confronti di altra o di altre società: attività che consiste, dunque, nello svolgimento di compiti direttivi e di funzioni amministrative inerenti alle diverse società del gruppo.
L’attività di direzione e l’attività di controllo
L’attività di direzione si concretizza nel potere di intervenire nelle scelte della società controllata in modo determinante, mediante una posizione di maggioranza all’interno dell’assemblea ordinaria di quest’ultima.
L’attività di controllo, invece, si manifesta in un’influenza meno penetrante ma che – comunque – consente alla società controllante di influenzare le scelte della società controllata in virtù, ad esempio, di determinati rapporti contrattuali con essa.
Lo stesso art.2359 c.c. prevede tre differenti ipotesi di attività di controllo, ovverosia le ipotesi in cui:
- l’entità della partecipazione è tale da garantire alla società che la possiede la disponibilità della maggioranza assoluta dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (il 50% più uno dei voti);
- la partecipazione, anche se non di maggioranza assoluta, sia comunque tale da attribuire alla società che la detiene voti sufficienti per garantirle nell’assemblea ordinaria la possibilità di determinare lo svolgimento dell’attività della società partecipata;
- una società esercita un’influenza dominante su un’altra in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa: ad esempio, nelle ipotesi di controllo dovuto ad un know-how, contratti di somministrazione o, più in generale, quando sussistono rapporti contrattuali le cui prestazioni siano essenziali per l’attività della società sottoposta e dunque per la sua sopravvivenza, così da creare una situazione di dipendenza economica.
Al fine di rinvenire – a livello probatorio – la effettiva sussistenza di tale attività, la dottrina ha evidenziato la presenza di alcuni indicatori quali: (i) la composizione dei consigli di amministrazione (ii) la pubblicità di cui all’art.2497 bis c.c., (iii) la motivazione delle decisioni ai sensi dell’art.2497 ter c.c., (iv) la formulazione di budget di gruppo, (v) l’adozione di piani di garanzie intra gruppo, (vi) la predisposizioni di organigrammi di rischio di gruppo, (vii) la formulazione di codici di comportamento di gruppo.
Le limitazioni: la tutela degli interessi della società controllata
L’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento da parte della capogruppo rappresenta un fatto naturale e fisiologico in un’ottica, appunto, di gruppo e, di per sé, legittimo; questo, però, nel rispetto di alcuni necessari limiti.
È lo stesso art.10 della L.366/01, infatti, ad indicare – tra i criteri direttivi della riforma in materia di gruppi – proprio l’intento di “assicurare che l’attività di direzione e coordinamento contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di quest’ultime”.
È vero che le società appartenenti ad un gruppo debbano muoversi in un’ottica di favore non solo propria ma anche del gruppo nel suo complesso, tuttavia non si può prescindere dalla genetica condizione per cui sia la controllante che la controllata, sono – e rimangono – entità giuridicamente autonome sia sul piano organizzativo che patrimoniale: ne consegue che entrambe dovranno comunque perseguire i propri interessi.
Insomma, ogni società, anche quella controllata, dovrà comunque aver riguardo ai propri interessi e affari: nei casi in cui la società controllante attui politiche di controllo volte al solo ed unico scopo di trarne un vantaggio personale a danno della società controllata, allora saremo di fronte ad una situazione di abuso.
Sul punto è importante richiamare quanto disposto dall’art.2634 c.c. secondo il quale gli amministratori rispondono – anche penalmente – quando arrechino un danno alla società con il fine di determinare un ingiusto profitto alla controllante, salvo che il profitto di quest’ultima sia contemperato dai vantaggi che ottiene la controllata.
Avv. Giulia Invernizzi