Quando si ravvisa il concorso in bancarotta

bancarotta

Il reato di bancarotta si ravvisa nella procedura fallimentare ed è ascrivibile ai soggetti che pongano in essere condotte atte a “frodare” i creditori. Tale reato è disciplinato dagli artt. 216, 217 e 217 bis legge fallimentare. 

Si distinguono vari reati di bancarotta classificabili tra i reati di bancarotta semplice e di bancarotta fraudolenta.

Bancarotta semplice

La bancarotta semplice si ha quando l’imprenditore fallito:

  • ha sostenuto spese personali o familiari eccessive rispetto alla propria condizione economica;
  • ha utilizzato gran parte del suo patrimonio effettuando operazioni di pura sorte o palesemente imprudenti;
  • ha posto in essere operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento;
  • ha aggravato il proprio dissesto non chiedendo la dichiarazione di fallimento in proprio o con altra colpa grave;
  • non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.

Il reato si applica anche “al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare i incompleta.”

La pena applicata è la reclusione da sei mesi a due anni, l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni, oltre all’applicazione di pene accessorie ex art. 28 codice penale.

Bancarotta fraudolenta

La bancarotta fraudolenta si ha quando l’imprenditore fallito:

  • ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
  • ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. “

Nel primo caso si parla di bancarotta patrimoniale, nel secondo di bancarotta documentale.

La pena applicata è la reclusione da tre a dieci anni, l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per dieci anni, oltre all’applicazione di pene accessorie ex art. 28 codice penale.

Inoltre, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluni di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Concorso in bancarotta 

Delineate le varie forme di bancarotta imputabili al fallito cerchiamo di capire quando si ravvisa il concorso in bancarotta di soggetti che non sono il fallito.

L’art. 110 codice penale definisce che “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita.”

Un soggetto terzo può concorrere nel reato di bancarotta se offre il proprio contributo nella commissione del reato e se sussiste dolo generico, così come si evince dalle sentenze della Cassazione n. 30412 del 2011 e n. 10742 del 2008.

La sentenza n. 6103 della Cassazione penale, sez. V, del 7 febbraio 2019 afferma che l’extraneus concorre nel reato di bancarotta ove “ponga in essere una condotta agevolatrice tipica”. In particolare, tale condotta “…può consistere anche in una deliberazione assembleare che si traduce in una falsità delle scritture, finalizzata a creare l’apparente legittimità di atti dispositivi del patrimonio sociale privi di reale giustificazione economica, dovendosi comunque provare il dolo del socio consistente nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’‘intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società.”

E’, altresì, emblematica la Cassazione Penale, sent. 9 ottobre 2012 n. 39988 che sentenzia come “è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta quando, consapevoli dei propositi distrattivi dell’imprenditore o degli amministratori della società, i consulenti commercialisti o esercenti la professione legale forniscano consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assistano nella conclusione dei relativi negozi ovvero ancora svolgano attività dirette a garantire l’impunità o a favorire o rafforzare, con il proprio ausilio o con le proprie preventive assicurazioni, l’altrui proposito criminoso.”

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