Privacy e smart working

smart working privacy

L’emergenza epidemiologica Covid-19 che ci ha travolti nei mesi scorsi ha rivoluzionato non solo le modalità di rapportarci quotidianamente con le persone ma soprattutto ha imposto alle aziende di adottare nuovi modelli lavorativi, primo fra l’ormai noto smart working o il cd. “lavoro agile o semplificato”.

E’ proprio di qualche giorno fa la notizia (Sole 24 ore) che: “Il 65% del campione ha paura del contatto con colleghi affetti da Coronavirus e asintomatici, il 40% della possibilità di contagio sui mezzi pubblici”.

Facile a dirsi un po’ meno ad applicarlo, soprattutto al fine di evitare illecite intrusioni nella vita del lavoratore che spesso utilizza dalla propria casa un pc di titolarità del datore di lavoro, il qual può fungere da minaccia per la privacy del dipendete o collaboratore.

Quali quindi le prescrizioni da adottare al fine di tutelare gli ambiti contrapposti fra privacy del lavoratore e la necessità di un pur (dovuto) controllo da parte dell’azienda, che in tali termini diviene soggetto maggiormente vulnerabile?

Dal punto di vista normativa, è necessario dare atto dei principali riferimenti normativi regolanti lo smart working in tema di riservatezza dei dati.

E’ la Legge del 22 maggio 2017, n. 81 “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” che introduce per la prima volta in Italia una formale regolamentazione del fenomeno dello smart working senza però fare alcun cenno in materia di privacy.

Ed invero, sotto questo spetto, è solo con lo Statuto dei lavoratori (art 4 dello Statuto, in ossequio all’art 2 Cost) che si leggono i primi cenni in tema di potere di controllo nell’ottica di garantire il rispetto della dignità umana del lavoratore consentendo al datore di installare impianti audiovisivi e altri strumenti solo in presenza di specifiche condizioni ossia: determinate esigenze di natura organizzativa, produttiva, di tutela del patrimonio aziendale o della sicurezza del lavoro.

Con l’avvento (imposto) dello smart working, il tema della privacy assume particolare preminenza non solo in un’ottica di tutela del lavoratore, ma anche di tutela dell’impresa, con espresso monito per i lavoratori agili di custodire con particolare diligenza gli strumenti di lavoro aziendali loro affidati.

Non solo; sarà onere del datore di lavoro predisporre una policy aziendale con il quale stabilire prescrizioni precise in ordine al concreto utilizzo di: pc, chiavette USB, connessione internet, mail e account aziendale, indicando – quando possibile – anche le linee guida di comportamento per garantire una corretta esecuzione della prestazione lavorativa nel pieno rispetto delle misure di sicurezza.

Aggiornare, tramite uno specifico addendum, l’informativa privacy ex art 13 GDPR per i dipendenti e i collaboratori – al fine di rendere a quest’ultimi specifiche informazioni circa il trattamento dei loro dati personali raccolti mediante gli strumenti utilizzati e i software dai quali può derivare la possibilità di controllo da parte del datore di lavoro.

Sotto il profilo della paritarietà delle condizioni di lavoro, al lavoratore agile deve essere riconosciuto lo stesso trattamento normativo e retributivo.

Con rifermento all’orario di lavoro, devono ritenersi applicabili, senza alcuna deroga, i limiti di orario previsti dalla normativa vigente e dalla contrattazione collettiva.

Come da circolare n.48/2017 disposta dall’INAIL, in ordine al diritto di previdenza, anche in caso di smart working è garantita la tutela dello smart working in caso di infortuni e malattie professionali anche per quelle prestazioni rese all’esterno dei locali aziendali e nel tragitto tra l’abitazione ed il luogo prescelto per svolgere la propria attività.

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