L’atto di citazione

decadenza legale

Il procedimento ordinario di cognizione costituisce il modello classico del processo civile, il prototipo su cui vengono modellati i c.d. procedimenti speciali.

La regolamentazione del procedimento ordinario è collocata nel libro II c.p.c. rubricato “Del processo di cognizione” con tale espressione si fa riferimento all’insieme delle attività processuali finalizzate all’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto sottesi alla pronuncia giurisdizionale richiesta (c.d. petitum), per la composizione della controversia.

La domanda giudiziale può essere volta ad ottenere: 

  • un provvedimento di mero accertamento, per accertare l’esistenza o l’inesistenza di una data situazione giuridica (classica la sentenza che dichiara la nullità del contratto);
  • un provvedimento di condanna: in questo caso la pronuncia contiene, oltre all’accertamento, anche un comando (rivolto al soccombente) di eseguire una data prestazione (es. risarcire il danno) e costituisce titolo esecutivo per l’esecuzione forzata;
  • un provvedimento costitutivo, se la pronuncia costituisce, modifica o estingue un rapporto giuridico; poiché tale pronuncia comporta una modifica della realtà giuridica, l’azione esecutiva può essere può essere esperita esclusivamente nei casi previsti dalla legge, diversamente dalla pronuncia di accertamento che si limita a prendere atto della richiesta di parte.

Lo strumento attraverso cui si attiva il procedimento è l’atto introduttivo che, nel procedimento ordinario si cognizione, assume la forma della citazione.

Principi e contenuto dell’atto.

Il giudizio ordinario di cognizione si introduce mediante atto di citazione.

Esso è caratterizzato dalla forma scritta e dalla natura doppiamente recettizia: l’attore, infatti, da un lato chiama in giudizio il convenuto (vocatio in ius) e dall’altro rende noti al giudice gli elementi di fatto e di diritto alla base della domanda formulata, identificando così l’oggetto del processo (editio actionis).

Affinché si concretizzi l’effetto doppiamente recettizio, l’atto introduttivo deve essere portato a conoscenza dei destinatari nelle forme previste:

  • Mediante notificazione al convenuto, da effettuarsi nei modi e nelle forme degli artt. 137 e ss. c.p.c. Tale notifica determina la pendenza della lite (diversamente dai procedimenti che si introducono mediante ricorso, la cui pendenza si determina con il deposito);
  • L’atto giunge invece a conoscenza del giudice mediante la costituzione in giudizio, che avviene attraverso il deposito in cancelleria del fascicolo di parte, contenente l’originale di notifica, la procura alle liti, i documenti offerti in comunicazione e la nota di iscrizione a ruolo. In Tribunale, il deposito telematico è equiparato al deposito cartaceo.

La citazione è un atto a forma vincolata, che deve necessariamente contenere i requisiti di cui agli artt. 125 c.p.c. e 163, comma 3, c.p.c.

L’art. 125 detta una disciplina generale degli atti processuali (citazione, ricorso, controricorso, comparsa e precetto), prevedendo come necessaria l’indicazione dell’ufficio giudiziario, delle parti, dell’oggetto, delle ragioni della domanda, delle conclusioni (o dell’istanza), oltre alla sottoscrizione della parte personalmente o del suo difensore, il quale deve altresì indicare il proprio c.f. e numero di fax. 

[Invero, il d.l. n. 90/2014, convertito in l. n. 114/2014, ha definitivamente eliminato l’obbligo per il difensore di indicare negli atti di parte il proprio indirizzo PEC, stante l’istituzione dell’apposito registro REGIndE; al contrario, la mancata indicazione da parte del difensore del c.f. e del numero di fax, è sanzionata con l’aumento della metà del contributo unificato].

Il comma 2 dell’art. 125 c.p.c. specifica che la procura al difensore può essere rilasciata dall’attore in data successiva alla notificazione dell’atto, ma in data antecedente alla costituzione in giudizio.

L’art. 163, comma 3, c.p.c., da intendersi quale specificazione ed integrazione dell’art. 125 c.p.c., indica il contenuto necessario dell’atto di citazione ai fini del raggiungimento del duplice scopo che gli è proprio: vocatio in ius ed edictio actionis.

Esso deve contenere:

  1. Indicazione dell’ufficio giudiziario davanti al quale la domanda è proposta (competenza);
  2. Indicazione del nome, cognome, residenza e c.f. dell’attore, nonché nome, cognome, c.f., residenza o domicilio o dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o assistono. Se l’attore o il convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio (rappresentante legale).
  3. Indicazione dell’oggetto della domanda (petitum mediato) ossia il bene della vita di cui si chiede la tutela o l’attribuzione.
  4. Esposizione degli elementi di fatto e di diritto che costituiscono le ragioni della domanda (causa petendi), con le relative conclusioni (petitum immediato) e quindi il provvedimento che si chiede al giudice di adottare.

Quanto alla causa petendi, è opportuno ricordare che il Giudice non è vincolato alla qualificazione giuridica del fatto offerta dall’attore; al contrario, in forza del principio iura novit curia (art. 113 c.p.c.), si può procedere d’ufficio al mutamento del nomen iuris, senza che questo implichi una modificazione dell’oggetto del processo.

  • Indicazione specifica dei mezzi di prova di cui l’attore intende valersi e, in particolare, dei documenti che offre in comunicazione. Tale previsione è chiara applicazione del principio dell’onere probatorio, in base al quale onus probandi incumbit ei qui dicit (l’onere della prova grava in capo a chi afferma), di cui artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. L’attore è libero di indicare nuovi o ulteriori mezzi di prova e, parimenti, di offrire in comunicazione nuovi o ulteriori documenti sino al secondo termine di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c.
  • Indicazione del nome e cognome del procuratore e indicazione della procura, qualora questa sia già stata rilasciata. In ordine al rilascio della procura, possono individuarsi tre distinte situazioni: la procura è presente a margine o in calce all’atto di citazione; la procura viene rilasciata successivamente alla notifica dell’atto di citazione, ma prima della costituzione in giudizio dell’attore, la procura è assente (o irregolare) al momento della costituzione in giudizio ed il Giudice concede termine perentorio per sanare detto vizio.
  • Indicazione del giorno dell’udienza di comparizione e l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di 20 giorni prima dell’udienza, ovvero di 10 giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire all’udienza indicata innanzi al giudice designando, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. All’atto di indicare l’udienza, l’attore dovrà calcolare un lasso di tempo, intercorrente tra il momento in cui notificherà l’atto al convenuto e la data di udienza stessa, pari ad un minimo di 90 giorni liberi, se il luogo della notificazione si trova in Italia, o di 150, se all’estero. Si tratta di termini che il legislatore indica come “liberi”, per cui l’attore, nel suo calcolo, non dovrà tenere conto né del dies a quo (il giorno della notificazione) né del dies ad quem (il giorno della prima udienza). L’attore è poi gravato dell’onere di invitare il convenuto a costituirsi in giudizio e a comparire all’udienza, avvertendolo delle conseguenze derivanti dalla sua mancata o tardiva costituzione. In merito alla scelta del verbo “invitare”, il Legislatore ha previsto la possibilità del convenuto di non raccogliere l’invito stesso e quindi di rimanere contumace nell’instaurando processo, oppure di partecipare costituendosi tardivamente – incorrendo, in questo caso, del tutto consapevolmente, nelle decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c.

L’udienza di comparizione fissata dall’attore in citazione, può essere rinviata d’ufficio, da parte della Cancelleria, quando l’attore abbia fissato la prima udienza in un giorno diverso da quello previsto dal calendario udienze. Oppure può essere differita dal Giudice, con decreto, per esigenze organizzative. Ne derivano conseguenze diverse in ordine alla decorrenza dei termini utili a costituirsi tempestivamente in giudizio: qualora il rinvio sia stato disposto dalla Cancelleria, il convenuto dovrà calcolare 20 giorni a ritroso dalla data di udienza indicata in citazione; qualora il rinvio sia stato disposto dal giudice, il convenuto dovrà tenere conto, ai fini della costituzione, della nuova data di udienza.

L’atto di citazione deve poi indicare la dichiarazione di valore o esenzione, ai fini del calcolo del contributo unificato. Il valore della causa è determinato in base agli artt. 10 ss. c.p.c.

Infine, è necessaria la sottoscrizione del difensore.

Atto di citazione (Parte II)

Riprendendo l’articolo precedente, si prosegue la trattazione dell’atto di citazione in merito alle conseguenze derivanti dalla mancanza o dal vizio degli elementi di cui all’art. 163, comma 3, c.p.c., e l’art. 164 che distingue tra vizi che riguardano la vocatio in ius e vizi che attengono all’editio actionis

Quanto ai primi, la citazione è NULLA se: sono omessi o assolutamente incerti i requisiti di cui ai punti 1 e 2 dell’art. 163, comma 3; se manca o è assolutamente incerta l’indicazione della data dell’udienza di comparizione, se è stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge ovvero se manca l’avvertimento del numero 7.

In questi casi, la norma prevede una duplice sanatoria, che opera diversamente a seconda che il convenuto si costituisca o meno. Se NON si costituisce, il giudice ordina la rinnovazione della citazione entro un termine perentorio che, se rispettato, sana ogni nullità con efficacia ex tunc; in difetto di rinnovazione, il Giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo ed il processo si estingue per inattività delle parti. Qualora invece il convenuto si costituisca regolarmente in giudizio, si produrrà l’effetto sanante per raggiungimento dello scopo; tuttavia, se il convenuto, costituendosi, eccepisca l’inosservanza dei termini a comparire oppure la mancanza dell’avvertimento, il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini, anche in questo caso con effetto sanante ex tunc.

– Quanto ai vizi dell’editio actionis, l’art. 164 prevede la nullità della citazione se è omesso o assolutamente incerto il requisito di cui al n. 3 dell’art. 163 (petitum mediato) e se manca l’esposizione dei fatti di cui al n. 4 (quindi parte della causa petendi). Anche in questo caso, la legge ammette la possibilità di sanatoria che opera diversamente a seconda che il convenuto si sia costituito o meno. Se si è costituito, il giudice ordinerà all’attore di integrare la domanda (anche attraverso una semplice memoria) con conseguente spostamento della prima udienza; se non si è costituito, il giudice assegna all’attore un termine perentorio per procedere alla rinnovazione dell’atto di citazione. A differenza di quanto previsto nel caso di vizi relativi alla vocatio in ius, nel caso di vizi relativi alla editio actionis la rinnovazione o l’integrazione non produrranno effetti ex tunc , ma solo ex nunc, con la conseguenza che il processo proseguirà, ma rimarranno ferme le decadenze maturate e i diritti quesiti prima della rinnovazione o integrazione, tra l’altro con conseguenza importanti in ordine all’interruzione delle prescrizioni e delle decadenze sia sostanziali che processuali.

Secondo la giurisprudenza, la sanzione della nullità non va comminata quando sia il petitum mediato che quello immediato sono individuabili attraverso un esame complessivo dell’atto di citazione.

A norma dell’art. 165 c.p.c., l’attore deve costituirsi in giudizio entro 10 giorni dalla notifica della citazione al convenuto, ridotti a 5 nel caso di abbreviazione dei termini, a mezzo del suo procuratore o personalmente, nei casi consentiti dalla legge. La costituzione dell’attore avviene depositando in cancelleria: la nota di iscrizione a ruolo, il proprio fascicolo contenente l’originale della citazione, la procura, i documenti offerti in comunicazione.

Qualora la citazione sia notificata a più persone, l’originale della stessa deve essere inserito nel fascicolo entro 10 giorni dall’ultima notificazione.

Il dies a quo del termine per la costituzione in giudizio e la iscrizione a ruolo della causa, decorre per l’attore dal momento dell’avvenuta notifica al destinatario – quindi non dal momento della consegna dell’attore all’ufficiale giudiziario.

In caso di notificazione a più persone, il termine di 10 giorni deve essere computato dalla prima notifica.

 

Atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo

Il procedimento di ingiunzione è regolato dall’art. 633 3 ss. c.p.c., sistematicamente collocati nel libro IV dedicato ai “procedimenti speciali” (Capo I, rubricato “Dei procedimenti sommari”).

Legittimati a introdurre il procedimento sono (art. 633, comma 1): 

  • i creditori di una somma liquida (un credito liquido, certo ed esigibile) di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili;
  • chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata.

Tali soggetti potranno chiedere al Giudice competente (Tribunale o Giudice di Pace, secondo le disposizioni in materia di competenza) la pronuncia di ingiunzione di pagamento o di consegna.

Il procedimento di ingiunzione consta di due fasi:

La prima fase è quella monitoria pura e si introduce con ricorso. Essa si caratterizza per la sommarietà del giudizio: infatti, il Giudice emana il decreto in base alle sole allegazioni probatorie (prove scritte) introdotte del ricorrente e, dunque, inaudita altera parte (senza contraddittorio con il convenuto).

Il provvedimento monitorio (art. 641 c.p.c.) ingiunge al convenuto di pagare la somma o di consegnare la cosa nel termine di 40 giorni, con l’espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione. In mancanza dell’opposizione nel termine di 40 giorni, si procederà per esecuzione forzata.

La seconda fase è eventuale, giacché si instaura solo in caso di opposizione dell’ingiunto (che chiede la revoca del decreto ingiuntivo), introducendosi così un ordinario giudizio a cognizione piena (sicché il giudice dovrà valutare non solo la legittimità del decreto emesso, ma anche la fondatezza delle ragioni del creditore: dovrà, in definitiva, pronunciarsi sia sull’an sia sul quantum debeatur). Il debitore ingiunto può opporsi al decreto, emesso inaudita altera parte, con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, potendo così far valere le proprie ragioni.

L’atto di opposizione a decreto ingiuntivo determina una inversione delle posizioni processuali delle parti:

  • il debitore, convenuto sul piano sostanziale, diviene attore opponente sul piano formale;
  • il creditore, attore/ricorrente sul piano sostanziale, diviene convenuto opposto sul piano formale.

Di regola, l’atto introduttivo del giudizio assume la forma dell’atto di citazione. Tuttavia, l’opposizione dovrà essere proposta con ricorso nei casi in cui il decreto sia emesso per 

  • crediti relativi a rapporti di lavoro o
  • crediti in materia di locazione, comodato o affitto.

L’atto di citazione deve contenere, oltre agli elementi di cui all’art. 163 c.p.c.:

  • l’indicazione del decreto ingiuntivo emesso
  • la data della notificazione
  • l’eventuale istanza ex art. 649 c.p.c. (attraverso la quale il debitore ingiunto, nella veste di opponente, domanda la sospensione dell’esecuzione provvisoria del decreto, qualora questa- cioè l’esecuzione provvisoria – sia stata concessa a norma dell’art. 642 c.p.c.; la provvisoria esecutività determina la possibilità per il creditore ingiungente di procedere immediatamente ad esecuzione forzata);
  • sottoscrizione del procuratore.

Il giudizio si conclude con sentenza, di rigetto o accoglimento dell’opposizione.

Nel procedimento di ingiunzione, la fase monitoria e quella di opposizione integrano un unico processo e l’onere delle spese giudiziali si regola all’esito finale del giudizio di opposizione.

* Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria, i cui giudizi vengono introdotti con un ricorso per decreto ingiuntivo, si è dibattuto su quale fosse la parte tenuta ad instaurare la mediazione nel corso del procedimento di opposizione. Inizialmente si riteneva che l’onere dovesse gravare sull’opponente, in quanto attore e promotore della fase a cognizione piena. La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione che, con sentenza n.19596 del 2020, hanno enunciato il principio di diritto in base al quale l’onere di promuovere la procedura di mediazione obbligatoria è a carico della parte opposta. Ciò in ragione del fatto che è il creditore la parte interessata all’accertamento dell’esistenza di una obbligazione e al recupero del credito.

La comparsa di risposta (artt. 166 e 167 c.p.c.)

Ricevuta la copia notificata dell’atto introduttivo, il soggetto nei cui confronti si instaura il giudizio si trova dinanzi ad un’alternativa: rimanere inerte dinanzi alle pretese attoree o partecipare attivamente al processo.

In questo secondo caso, il convenuto redige l’atto difensivo che, a norma dell’art. 167 c.p.c. assume la denominazione di “comparsa di risposta” (si tratta, infatti, di una risposta alla citazione dell’attore).

Ai sensi dell’art. 166 c.p.c., il convenuto ha l’onere di costituirsi almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione o almeno 10 giorni prima nel caso di abbreviazione dei termini (art. 163bis c.p.c.), depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente: – copia della citazione notificata; – la procura; – i documenti che offre in comunicazione; – la comparsa di risposta, nella quale deve proporre tutte le sue difese.

Principi e contenuto dell’atto.

Ai sensi dell’art. 167 c.p.c., la comparsa di risposta deve contenere:

  • l’indicazione dell’Ufficio giudiziario dinanzi al quale il convenuto è stato citato;
  • gli estremi identificativi del processo (Rg. n., sezione e giudice, data prima udienza);
  • la posizione del convenuto sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda (onere di tempestiva contestazione);
  • le generalità ed il codice fiscale del convenuto, nonché numero di fax del difensore per le comunicazioni (l’indirizzo di posta elettronica certificata è, invece, elemento facoltativo a seguito dell’istituzione dell’apposito registro Re.gin.de.;
  • i mezzi di prova di cui il convenuto intende valersi e i documenti che offre in comunicazione (tuttavia, la mancata indicazione dei mezzi di prova non è sanzionata, giacché essi possono essere indicati sino alla scadenza dei termini perentori previsti all’art. 183, comma 6, c.p.c.;
  • le conclusioni formulate dal convenuto, articolando puntualmente le proprie pretese.

Il secondo comma dell’art. 167 dispone, inoltre, che, a pena di decadenza, il convenuto formuli nella comparsa di risposta tempestivamente depositata le eventuali domande riconvenzionali – con tale espressione intendendosi le contro – domande che il convenuto oppone per ottenere un provvedimento positivo sfavorevole all’attore che vada oltre il semplice rigetto (totale o parziale) della domanda principale.

La domanda riconvenzionale è ammissibile qualora vi sia un collegamento obiettivo con la domanda principale, tale da rendere opportuna la celebrazione del simultaneus processus.

La domanda riconvenzionale può essere rivolta “trasversalmente” anche nei confronti di altro convenuto nello stesso processo, sempre che l’interesse alla domanda in discorso nasca dalla domanda dell’attore.

Il termine di decadenza di 20 giorni prima dell’udienza fissata in atto di citazione si riferisce anche alla proposizione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio (es. eccezione di incompetenza per materia, per valore e territoriale; eccezione di nullità per i due vizi processuali dell’atto di citazione – mancato rispetto del termine minimo di comparizione e mancanza dell’avvertimento-; disconoscimento delle scritture private menzionate nell’atto di citazione e depositate dall’attore in sede di costituzione; eccezione di prescrizione). Il terzo comma dell’art. 167 c.p.c. impone al convenuto che intenda chiamare un terzo in causa di farne dichiarazione nella stessa comparsa di risposta, nella quale verrà contestualmente chiesto al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza, allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini minimi di comparizione (art. 163bis c.p.c.). Il giudice può, discrezionalmente, rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, motivando la propria scelta sulla base di esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo.

Quanto all’intervento del terzo:

l’art. 106 c.p.c. attribuisce ad attore e convenuto il potere di chiamare nel processo già pendente il terzo “al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende di essere garantito”.

La parte autorizzata a chiamare in causa il terzo deve redigere un vero e proprio atto di citazione contenente tutti i requisiti di cui all’art. 163 c.p.c., che dovrà notificare, unitamente al decreto di spostamento della data di prima udienza, nel rispetto dei termini minimi di comparizione stabiliti dall’art. 163 bis c.p.c. La citazione notificata deve essere depositata entro il termine di 10 giorni dalla notificazione al terzo dell’atto di chiamata.

Il terzo chiamato acquista la qualità di parte e la titolarità di tutti i poteri ad essa connessi, con ampliamento dell’oggetto del giudizio, dovendo il giudice statuire anche sulla domanda svolta nei confronti del terzo.

 

Comparsa di intervento volontario

L’intervento dei terzi in un procedimento di cognizione già pendente tra due parti trova la sua fonte normativa nell’art. 105 c.p.c. e negli artt. 267 e ss. c.p.c.

L’intervento volontario (art.105 c.p.c.) rappresenta una modalità di realizzazione del litisconsorzio facoltativo successivo e comporta l’ingresso di un terzo, per sua stessa iniziativa, in un processo già pendente.

Presupposto di tale intervento è un interesse del terzo correlato alle posizioni giuridiche sostanziali fatte valere in giudizio dalle altre parti.

A seguito del suo intervento, il terzo acquisisce la qualità di parte e il giudicato farà stato anche nei suoi confronti.

Il carattere della volontarietà distingue tale intervento da quello c.d. coatto: in tale ultimo caso il terzo è chiamato in giudizio su istanza di parte o per ordine del giudice.

Con riferimento all’intervento volontario del terzo, secondo la prevalente dottrina, si deve distinguere tra tre tipologie:

  • principale: il terzo interveniente esercita un’azione autonoma rispetto a quella delle altre parti e afferma un proprio diritto, in contrasto sia con le richieste dell’attore che con quelle del convenuto. L’intervento principale del terzo è legittimato dalla connessione oggettiva della domanda introdotta dall’interveniente con quelle già proposte nel processo dalle parti originarie;
  • adesivo autonomo (o litisconsortile): il terzo, pur facendo valere un diritto autonomo, assume una posizione uguale o parallela a quella di una delle parti del giudizio. Il nesso che giustifica l’intervento litisconsortile è rappresentato dalla connessione oggettiva;
  • adesivo dipendente: il terzo ha interesse alla vittoria di una delle parti (in quanto teme di subire pregiudizio dagli effetti riflessi di una sentenza a questa sfavorevole) e interviene in giudizio a sostenerne le ragioni. Il terzo interveniente adesivo, in particolare, ha interesse alla vittoria della parte adiuvata in quanto titolare di una situazione dipendente dal rapporto principale già oggetto di lite, suscettibile di subire un pregiudizio in caso di soccombenza della parte sostenuta.

La scadenza ultima per poter intervenire spontaneamente nel processo è l’udienza di precisazione delle conclusioni.

L’interveniente volontario deve accettare il processo nello stato in cui si trova: gli saranno preclusi gli atti che al momento dell’intervento non sono più consentiti alle altre parti, anche se potrà formulare domande, ferme le preclusioni istruttorie già maturate in capo alle altre parti del processo.

Secondo il disposto dell’art. 267 c.p.c., il terzo, per intervenire nel processo, deve   costituirsi tramite comparsa di intervento formata a norma dell’art. 167 c.p.c., da presentarsi in udienza o da depositare in cancelleria, unitamente alle copie per le parti, i documenti e la procura.ICO

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