Chi è il minore: inquadramento della figura all’interno del contesto familiare.

Affido familiare e responsabilità genitoriale

Il minore è un componente familiare dotato di peculiari diritti, i quali sono tutelati dall’ottica garantista adottata sistematicamente dal legislatore, nazionale e sovranazionale.

Al fine di poter meglio analizzare la figura del minore nei molteplici aspetti che lo riguardano, è essenziale definirlo quale soggetto dotato di propria identità giuridica, capace di non rendersi estraneo ai traffici giuridici del tessuto sociale, ma anzi, di alimentarli ed oggi, anche influenzarli, orientarli, specificarli.

Per comprendere ogni attività svolta del minorenne è opportuno richiamare e confrontare due concetti basilari per il diritto delle persone: la capacità giuridica e la capacità di agire

L’ art.1 c.c., che è dedicato alla capacità giuridica, definisce la condizione statico – passiva del soggetto. La persona fisica acquisisce la capacità giuridica attraverso la nascita, con l’inizio della respirazione polmonare (art.1 comma 1) e la perde con la morte (art.4 c.c. e art.456 c.c.), ovvero con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo. La nascita è condizione sufficiente e necessaria per l’acquisto della capacità giuridica ex lege, non rilevando che il nascituro sia vitale, ovvero idoneo alla sopravvivenza

Alcuni rapporti giuridici presuppongono però, non solo l’atto della nascita, ma è richiesto il concorso di altri presupposti: la capacità matrimoniale si acquista con il compimento del sedicesimo anno di età (art.84 comma 2 c.c.), mentre la capacità di testare con il diciottesimo anno di età (art.591 comma 2, n.1 c.c.).

I diritti della personalità si acquisiscono dopo la nascita, mentre quelli patrimoniali sono solo eventuali (per esempio la successione mortis causa verso il padre durante il periodo di gestazione).

La legge richiede che il soggetto debba possedere anche la capacità d’agire per compiere atti di amministrazione in modo personale ed autonomo. 

L’art.2 c.c. è dedicato proprio ad essa e disciplina la condizione dinamico-attiva del soggetto nel compimento di un’attività giuridicamente rilevante; per tale capacità si intende l’idoneità a porre in essere in proprio, atti negoziali destinati a produrre effetti nella sua sfera giuridica (la cosiddetta capacità negoziale)4.

Da non confondere con la capacità negoziale è la capacità extra-negoziale, ovvero l’idoneità del soggetto a rispondere delle conseguenze dannose degli atti posti in essere.

La capacità d’agire si acquista al raggiungimento della maggiore età, cioè al compimento del diciottesimo anno (art.2 comma 1 c.c.: “la maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno”).

Prima di quel momento, il soggetto è legalmente incapace, nonostante possa aver acquisito un elevato grado di maturità.

Il criterio generale proposto dal legislatore si pone come soglia standard per tutti i consociati, poiché sarebbe fonte di incertezza e contestazione un’analisi sul singolo caso al fine di stabilire se sia stata raggiunta la capacità di discernimento richiesta 

In alcuni casi, nonostante il compimento della maggiore età, può accadere che il soggetto non acquisisca la capacità di discernimento che si presupporrebbe di avere a diciotto anni, questo per cause di malattia fisica o mentale, disagi psichici o stato di ubriachezza, senza escludere casi equiparabili a quest’ultimo esempio.

In predette casistiche, il legislatore si preoccupa della protezione di questi soggetti accostando ad essi figure come quelle del tutore, dell’amministratore di sostegno e del curatore, onde salvaguardarli dal rischio di porre in essere atti negoziali lesivi e dannosi della loro sfera patrimoniale.

Gli istituti posti a garanzia delle “persone prive in tutto o in parte di autonomia” (libro primo, titolo XII del codice civile) sono:

  1. La minore età;
  2. L’interdizione giudiziale;
  3. Inabilitazione;
  4. Emancipazione;
  5. Amministrazione di sostegno;
  6. Incapacità di intendere o volere (incapacità naturale).

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