La prova del dolo nel reato di bancarotta patrimoniale fraudolenta

In materia di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’art 216 comma 1 n. 1) Legge Fallimentare prevede che “È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti”.

L’articolo 223 Legge Fallimentare estende poi la predetta disciplina, originariamente pensata per l’imprenditore individuale, ai soggetti apicali (vale a dire amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori) della società dichiarata fallita che abbiano compiuto i fatti di bancarotta previsti dall’articolo 216.

Così delineato il quadro riferimento normativo, si può comprendere come il reato di bancarotta patrimoniale tuteli, nella forma del pericolo, le ragioni della massa dei creditori che possono essere pregiudicate dal distacco dei beni dall’attivo dell’ente per scopi estranei allo stresso.

La condotta

Le possibili condotte descritte dalla norma sono due: da un lato distrarre, occultare, dissimulare, distruggere, dissipare –in tutto o in parte i beni (dell’imprenditore o della società); dall’altro esporre o riconoscere passività inesistenti 

L’elemento soggettivo del reato 

L’elemento soggettivo del reato viene diversamente declinato in base al tipo di condotta.

Le condotte distrattive o comunque dissipative dei beni e del patrimonio sociale vengono punite a titolo di dolo generico; la giurisprudenza è molto chiara, infatti, nell’affermare che il  reato di bancarotta fraudolenta per distrazione non richiede il dolo specifico, e si perfeziona con il dolo generico, ossia la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (veggasi, ad esempio, Cassazione penale, sez. V, 14/01/2010, n. 11899).

La condotta di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti risulta invece prevista e punita a titolo di dolo specifico, in quanto effettuata “allo scopo di recare pregiudizio ai creditori”.

Interessante, in questo quadro, cercare di comprendere da quali elementi di fatto, ricorrenti nel caso concreto, poter legittimamente trarre la prova del dolo del reato di bancarotta patrimoniale fraudolenta.

Ebbene, con una recentissima sentenza la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di  diritto in merito ai così detti “indici di fraudolenza” rilevanti in relazione al reato in argomento: “l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di indici di fraudolenza, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale” (Cass. Pen., Sez. V, 23 giugno 2021, n. 24582).

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