Antiriciclaggio e Fintech: la regolamentazione delle criptovalute

Il FinTech nasce dalla fusione tra Fin (Finance) e Tech (Technology) e indica un qualunque utilizzo di strumenti digitali applicati in ambito finanziario. Grazie al FinTech si è riusciti entrare in un mercato dove gli operatori tradizionali non consideravano, ampliando l’offerta finance a disposizione degli utenti, facilitando la propagazione di nuovi servizi di finanziamento, pagamento e scambio su larga scala.

Da questi vantaggi, però, emerge uno svantaggio non da poco che è rappresentato dalla mancanza di una regolamentazione organica che definisca le mura di legalità entro cui gli operatori possono navigare.

I legislatori nazionali ed europei sono intervenuti per costruire un regime giuridico per prevenire comportamenti illeciti o criminali.

In particolare, il 10 novembre 2019, con l’entrata in vigore del D.Lgs. n.125 di recepimento della Direttiva 843/2018, denominata V Direttiva Antiriciclaggio, ha apportato importanti modifiche al precedente D.Lgs. n.231/2007 che, a sua volta, ha modificato la cosiddetta IV Direttiva Antiriciclaggio presente nel D.Lgs 90/2017.

Le direttive europee sono conseguenza del crescente allarme sociale causato dagli attacchi terroristici in alcune città europee e dallo scandalo derivante dalla pubblicazione dei documenti legati all’inchiesta Panama Papers.

Queste vicende hanno fatto emergere le nuove modalità e i nuovi sistemi finanziari alternativi con cui i gruppi terroristici si finanziano e svolgono le proprie attività. Proprio per questo il legislatore europeo ha reso necessario rivedere delle nuove misure volte a garantire una maggiore trasparenza delle operazioni finanziarie delle società e degli altri soggetti giuridici, con il fine di migliorare la prevenzione e un efficace contrasto al finanziamento del terrorismo.

I punti principali della riforma in merito a FinTech e Antiriciclaggio sono i seguenti:

  1. Prestatori di servizi di cambio e di servizi di portafoglio digitale;
  2. Moneta elettronica e criptovalute.

Nel primo punto, i prestatori di servizi la cui attività consiste nel cambio tra valute virtuali e valute reali e i prestatori di servizi di portafoglio non erano, fino all’introduzione della V Direttiva, soggetti all’obbligo dell’Unione di individuare le attività sospette ai fini di riciclaggio e finanziamento al terrorismo. Difatti, i gruppi terroristici potevano trasferire denaro verso il sistema finanziario dell’Unione o all’interno delle reti delle valute virtuali dissimulando i trasferimenti o beneficiando di un certo livello di anonimato su queste piattaforme. È stato fondamentale ampliare l’ambito di applicazione della normativa europea di contrasto al riciclaggio e al terrorismo, in modo da includere i prestatori di servizi la cui attività consiste nella fornitura di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali e i prestatori di servizi di portafoglio digitale.

La V Direttiva aggiunge la possibilità per le Financial Intelligence Unit, di ciascun Paese membro di ottenere le informazioni che permettono di collegare gli indirizzi della valuta virtuale alla reale identità del proprietario della stessa, anticipando anche la probabilità di consentire agli utenti di dichiarare volontariamente un’autodichiarazione alle autorità designate.

In Italia, grazie all’influenza della V Direttiva, è stato integrato nell’art. 3 del D.Lgs. 231/2007 i riferimenti agli exchange quali destinatari degli obblighi antiriciclaggio, successivamente con le modifiche apportate dal D.Lgs. 125/2019 si è trattato l’estensione della definizione dei prestatori di servizi all’utilizzo di monete virtuali, definendoli “persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche on line, servizi di salvaguardia dei chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali”.

Sia i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale sia quelli di servizi di portafoglio digitale rientrano tra i soggetti obbligati come “altri operatori non finanziari”. Inoltre, il Decreto estende l’obbligo di iscrizione, da parte dei prestatori di servizi di portafoglio digitale, in una sezione speciale del registro dell’OAM, come viene indicato nell’art. 17-bis D.Lgs. 141/2010. 

Nel secondo punto, in merito alla moneta elettronica e criptovalute, la V Direttiva definisce la valuta virtuale una “rappresentazione di valore digitale non emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non in possesso dello status giuridico di valuta o moneta, ma accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio. Può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”. In questo preciso istante, le monete virtuali entrano in Europa negli obblighi connessi al riciclaggio di denaro e quindi si pone l’obiettivo di monitorare attraverso i soggetti obbligati ad un utilizzo moderato ed equilibrato, con la prerogativa della trasparenza.

Sulla stessa linea delle disposizioni comunitarie, ai sensi del D.Lgs. 231/2007 lettera qq) ridefinisce la nozione di valuta virtuale, quale “rappresentazione digitale di valore non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

L’insieme delle misure appena citate incidono sul mercato europeo delle FinTech che si occupano di criptovalute e monete virtuali, ponendole ad una elevata attenzione e trasparenza per non incappare in riciclaggi.

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